In un suo noto film Checco Zalone ironizzava sul termine “eutanazia”, facendo ridere il pubblico a crepapelle. Nella realtà, invece, purtroppo c’è ben poco da ridere, data la delicatezza della materia e la contrarietà espressa da molti alla decisione della Consulta dello scorso 15 febbraio.
La richiesta di introduzione dell’eutanasia legale in Italia al momento non è stata accolta, perché, stando a quanto si dice, in buona sostanza non preserverebbe la tutela minima costituzionale che va garantita alla vita umana. Specialmente con riferimento alle categorie delle persone più deboli e vulnerabili.
Ma è del tutto vero? Questa è la “vexata quaestio” o “l’annoso problema”, che dir si voglia.
Perché, umanamente parlando, la questione sembra ben più semplice da affrontare e, intendiamoci, qualcosa probabilmente andrà fatto. Ma il vero ostacolo è di carattere giuridico, perché, anche se “prima facie” potrebbe apparire semplice regolamentare la materia, in realtà andare ad introdurre una opzione del genere (al di là di ogni possibile discorso etico a farsi) rischia di creare un potenziale effetto boomerang sui pilastri fondanti la nostra Carta Costituzionale.
Sul rispetto alla vita umana nulla da eccepire. Sulla possibilità di poter decidere di porvi fine sorge invece qualche dubbio maggiore. Non tanto sulla scelta in sé, quanto piuttosto forse sui modi di attuazione e sulla analisi a farsi dei casi concreti, che sono chiaramente soggettivi e difficili da poter regolamentare in maniera chiara e univoca.
D’altronde “i favorevoli” hanno fatto presente alla Consulta che non si trattava di una apertura incondizionata, ma limitata nei modi dettati dalla legge sul consenso informato e sul testamento biologico e fatta eccezione proprio per le persone incapaci, per le persone il cui consenso fosse stato estorto con violenza o minaccia e per i minori di diciotto anni.
Insomma, la questione appare ancora problematica, ma probabilmente bisognosa di nuovi approfondimenti e valutazioni a farsi. Valutazioni che cerchino di trovare un modo per contemperare al meglio la sacralità della vita umana (uno dei cardini del nostro dettato costituzionale) con la possibilità di autodeterminarsi al punto tale da poter porre fine alla stessa.
La sensazione dello scrivente è che il nostro Paese non sia ancora pronto a compiere un passo del genere. Un passo, però, che, come detto, andrà ulteriormente approfondito e studiato per evitare che, al contrario, pur nell’apprezzabile intento di preservare la vita umana, si dimentichi involontariamente che in alcuni tragici casi parlare di vita è già forse un eccesso.
Avv. Christian Montanaro
Referente Sezione Civile di “IN LAW”
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